Storia

Il destino di Littoria | La bonifica

Le bonifiche del XXI secolo hanno dei nuovi protagonisti e sono i reduci della Grande Guerra, assunti e diretti dall’Opera Nazionale Combattenti.

L’Opera nazionale combattenti è istituita per regio decreto 10 dicembre 1917, n 1970. In seguito alla sconfitta di Caporetto, il ministro del tesoro Francesco Saverio Nitti autorizzò l’Istituto Nazionale della Assicurazioni ad emettere una polizza gratuita per i militari impegnati nella prima guerra mondiale.
Originariamente era suddivisa in tre sezioni: azione agraria, azione sociale, azione finanziaria. Sin da subito attribuita maggiore importanza alla sezione per l’azione agraria. Secondo il regolamento del 1919, infatti, concorrevano a costituire il patrimonio terriero dell’Opera anche i terreni, appartenenti a privati proprietari, che fossero soggetti a obbligo di bonifica.
Con la caduta del fascismo l’Opera perde la sua funzione strategica, ma continua la sua attività di bonifica, di trasformazione fondiaria e di gestione del patrimonio in Agro Pontino, a Coltano, Alberese, Isola Sacra, S. Cesareo, nell’area del Volturno, nel Tavoliere, a Stornara, S. Cataldo e Sanluri.

Erano già operanti sul territorio le società di bonifica incaricate dai latifondisti del luogo e dall’allora sottosegretario del Ministero dell’Agricoltura Arrigo Serpieri. Porta il suo nome la legge n.753 del 1924.
Gli interventi si incentravano su opere di canalizzazione delle acque, drenaggio dei campi, lotta antimalarica, miglioria strade e per permettere la viabilità lavorativa iniziarono a crearsi quasi spontaneamente e per necessità villaggi operai, perlopiù formati da piccoli alloggi, rimesse di automezzi e magazzini.

Un intervento dignitoso, tuttavia non ancora rivoluzionario. La legge prevedeva, inoltre, che le aree bonificate fossero classificata di prima categoria, ovvero beneficiarie di finanziamenti pubblici. Dunque, lo Stato si faceva carico di un ingente onere.
Questi piccoli agglomerati che sorgevano agli incroci delle strade non erano nulla di più che delle sistemazioni temporanee, che col tempo, visto il dilungarsi dei lavori iniziarono ad essere abitati da famiglie e a dotarsi di strutture minime per la vivibilità sociale: chiesa, caserma dei carabinieri, dopolavoro, scuola, torre serbatoio.

Nonostante il sottosegretario Serpieri fosse un’intellettuale dell’intervento agrario e un ottimo tecnocrate, l’azione delle società bonificatrici non era nulla di più rispetto a ciò che si era fatto nei secoli precedenti; interventi ad hoc senza un intervento complessivo ed organico. Mancava una vera e propria progettualità che stabilizzasse questa zona da quel momento in poi, rischiando così di ritrovarsi qualche decennio dopo a dover intervenire nuovamente. Infine, i lavori erano iniziati da cinque anni e non avevano visto ancora il termine. A questo, si aggiunse l’immobilità e la scarsa partecipazione dei latifondisti, ai quali fu chiesto di partecipare alla bonifica dei propri territori pagando solo l’8% dell’ammontare della spesa; nonostante la notevole agevolazione, i proprietari preferirono continuare ad usare i propri terreni per il pascolo, il foraggio e poche colture.

Come accennavo nella premessa, la bonifica dell’Agro Pontino non è una semplice grande opera. In essa si riflette una parte della storia d’Italia. L’assunto “La terra agli agricoltori” viene fatto proprio dall’ONC e trasformato in “la terra ai combattenti”, urlato nei primi comizi di un socialista romagnolo, Benito Mussolini. L’ente già si occupava di assistenza e previdenza ai reduci e alle loro famiglie, ora era necessario intervenire in due modi. Da un lato, si voleva combattere le divisioni sociali che in passato avevano creato tensioni, come il biennio rosso, in cui l’Italia sembrava essere ad un passo dalla guida proletaria nelle fabbriche, sebbene il fallimento delle occupazioni e dei sollevamenti avessero poi deviato i consensi al Partito Fascista e portato Re e governo ad avere una speranza di stabilità del movimento guidato da Mussolini. Dall’altro, nell’idea costante del duce vi era l’assunto dell’abbrutimento della popolazione attirata dalla campagna alla città; l’inurbamento della popolazione portava all’inerzia e all’infecondità.

La campagna, il mito della riscoperta della ruralità, dovevano essere i luoghi da dove l’autarchia italiana doveva partire.

C’era bisogno di un segnale incisivo, di un cambiamento drastico, e il regime fascista rispose nella maniera più ovvia e in linea con la sua attitudine politica. Vengono sostituiti i vertici dell’Opera Nazionale Combattenti, nel settembre del 1929 viene nominato commissario di governo, direttamente dal primo ministro Mussolini, il conte e onorevole Vittorio Orsolini Cencelli, e all’opera viene data una struttura rigidamente verticistica.

Il governo concesse all’ONC la facoltà di esproprio per pubblica utilità, in modo tale da superare l’ostacolo dei latifondisti presentatosi negli anni passati, è questo il punto di svolta.
L’ONC ottiene i primi 18 mila ettari circa già appartenenti alla Società Fondi Rustici e alla Società bonfica di Fogliano. Si partì dai territori a sud del Comune di Cisterna, dove era stata ultimata la bonifica idraulica, per poi passare al disboscamento, dicioccatura e carbonizzatura del terreno, spostandosi così verso il territorio di Terracina.

Alla mano d’opera locale, inadeguata numericamente e poco specializzata, furono affiancati lavoratori, partiti con un treno speciale, provenienti dalle province di Pistoia, Firenze, Lucca e Arezzo, questo sarà il primo gruppo trasferito nell’agro pontino dal Commissariato per le migrazioni e le colonizzazioni interne i quali aggiungendosi agli autoctoni, nel novembre del 1931, raggiunsero i 10 mila operai.

I lavoratori impiegati nella bonifica aumentavano e quelli che un tempo furono dei villaggi nati agli incroci delle strade per necessità, si trasformarono in embrionali centri abitati. Il primo fu Borgo Podgora nel maggio 1932 (già Sezzano 1927), e nel giro di un anno ne nacquero altri quindici, tutti con nomi emblematici e rappresentativi: erano costruiti e fondati da reduci della grande guerra, dargli nomi come Carso, Isonzo, Piave, San Donato era un modo per fissare nella memoria il sacrificio dei combattenti e dei loro commilitoni morti in battaglia.

Furono costruite quattordici aziende agricole, situate in alcuni dei borghi, e ad ognuna di esse dovevano fare capo circa 100 poderi. Erano questi il motore della zona, gli appoderamenti, unità di una media di 20-25 ettari quelli meno fertili e posti vicino al mare, di 10-15 ettari quelli situati lungo la via Appia. Ognuno di questi poderi aveva una casa colonica, di diverso tipo, l’ONC ne aveva progettate venti, generalmente su due piani, con cucina e magazzino al piano terra, mentre al superiore erano presenti tre o cinque stanze da letto; inoltre, le case erano dotate di stalla, concimaia, pozzo, forno, pollaio e porcile. Insomma tutto ciò che poteva dare autosufficienza ad una famiglia.

Nulla era lasciato al caso. In una lunga relazione, datata 16 dicembre 1931, l’Ingegnere dirigente Carlo Savoia, inviata al Commissario Cencelli, delinea quali dei venti tipi case coloniche sia più opportuno edificare lungo uno strada piuttosto che un’altra, con quale orientamento e in quali poderi.

Non restava che popolare questi terreni. Le prime famiglie giunte nell’agro nell’ottobre del 1932, provengono da Padova, Rovigo, Treviso, Verona e Vicenza. L’Opera contattava i prefetti delle province di provenienza dei futuri coloni, chiedeva loro di anticipare le spese per il trasferimento come cibo, acqua e l’organizzazione di un treno speciale diretto a Cisterna. Per il trasferimento di 143 famiglie si legge in una lettera del 17 dicembre 1932, il prefetto di Padova Ramaccini chiese un rimborso spese pari a 96745 lire.

Al loro arrivo in stazione, le famiglie venivano accolte dai fasci femminili, le quali facevano trovare colazione calda pronta, nuovi vestiti e una volta terminate le procedure di registrazioni, l’opera li accompagnava ai loro poderi assegnati. È l’inizio del vero e proprio popolamento dell’Agro Pontino.

Tutto era gestito dall’Opera Nazionale Combattenti. Le strutture e gli edifici costruiti erano esenti da tasse, così come la macellazione di bestiame e le transazioni finanziarie. Si faceva riferimento all’ente anche solo per aprire una dispensa, un alimentari, o un qualsiasi tipo di attività commerciale, gestendone il numero e limitandone le aperture.