18 dicembre 1932, Littoria, Benito Mussolini dal balcone del Palazzo del Municipio che dà su piazza Littoria, al centro del Quadrato, con voce ferma e proclamatoria, tipica del suo personaggio, annuncia la nascita di una nuova città. Lì dove un tempo vi era un territorio coperto da acquitrini, paludi e zanzare anofele.
Da un punto di vista sociale e storico, la bonifica dell’Agro Pontino non è una semplice opera di riassetto agrario (si potrebbe usare il termine contemporaneo di “grande opera” per descrivere la misura di questa bonifica). Essa è stata uno specchio dei tempi nel quale si riflettevano tutte le tensioni sociali dell’epoca, le strutture previdenziali, le capacità ingegneristiche e manovali, il sentire del popolo, il gesto artistico e studiato degli architetti che hanno agito nel ventennio.
Tra nostalgia della redenzione e rinnegazione in qualità di atto della dittatura fascista, Latina oggi ha snaturato il suo impianto di città di fondazione. A questi due aspetti più emotivi del comportamento umano, si aggiunge l’incompetenza dei tecnici, la speculazione edilizia, la burocrazia farraginosa.
Latina diventa così un caso emblematico della storia italiana, da quando tutto sembrava (è bene segnare con doppia sottolineatura “sembrava”) ordinato, corretto e agevole; alla crescita sregolata e contro ogni costo; fino alle beghe posticce tra nostalgici fascisti revisionisti, e comunisti conservatori colmi di preconcetti.
Breve storia pre-bonifica
La bonifica dell’Agro Pontino Redento, per utilizzare una locuzione cara a Benito Mussolini, non fu il primo tentativo per rendere coltivabile ed abitabile l’area palustre e boschiva che disegnava un quadrilatero delimitato dal territorio di Cisterna (nel 1931 nota come Cisterna di Roma, la provincia di appartenenza), i monti Lepini ad est e nord est, il mar tirreno ad ovest e sud ovest e il territorio di Terracina a sud.
Contrariamente a quanto si crede, le difficoltà agrarie di questa zona non sono state causate dall’abbandono delle terre nel periodo altomedievale. È nel secondo secolo avanti cristo che abbiamo le prime notizie su questa zona, con la Lex Sempronia Agraria proposta da Tiberio Gracco nel 133 a.C. La descrizione della zona in epoca repubblicana sembra mostrare affinità con la situazione del primo ventennio del ‘900: grandi latifondi e zone palustri, sebbene non ampie come nel periodo pre bonifica dell’Opera Nazionale Combattenti (ONC); si tenga presente che da oltre un secolo quella zona era attraversata dalla Regina Viarum, l’Appia Antica, prima strada “ufficiale” d’Europa voluta da Appio Claudio ed iniziata a costruire nel 312 a.C.
La riforma dei Gracchi ricorda l’azione che l’ONC farà due millenni dopo: la Lex Sempronia prevedeva grandi latifondi spezzettati e redistribuzioni dei terreni in favore della plebe (Tiberio Gracco e suo fratello Caio furono tribuni della plebe). Bene, l’ONC e il Commissario Onorevole Conte Vittorio Cencelli fecero di più, espropriarono completamente i terreni ai grandi latifondisti, indennizzandoli della perdita ma con un certo ossequio e rispetto (nonostante ciò che scrive Antonio Pennacchi in Fascio e Martello), assegnando poi i terreni una volta bonificati o in fieri ai coloni proveniente dall’Emilia e dal Nordest.
Se Cencelli e i dirigenti dell’opera avessero studiato affondo o si fossero fatti ispirare dalla riforma gracchiana non ci è dato saperlo, ma in una missiva indirizzata al Commissario si fa riferimento a tale riforma.
Riprendendo il percorso storico, senza dubbio, subito dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente le popolazioni italiche, soprattutto quelle prossime alla capitale, si sono rifugiate nelle zone collinari e montuose, spiegando, dunque, la densità demografica dei Monti Lepini durante i secoli successivi, cosicché l’avanzare delle foreste, l’abbandono dei campi irrigati regolarmente e lasciati al defluire delle piogge hanno definitivamente reso impraticabile l’Agro Pontino.
Alcuni tentativi vi furono, ma uno solo degno di nota e fu ad opera di Pio VI Braschi. Nell’autunno 1777 ripristinò la viabilità sull’Appia, collegandola con il mare e i Lepini attraverso strade ortogonali chiamate migliare, e ornandola di pini e pioppi.