Storia

Il destino di Littoria | Chiamatemi Latina. Grazie

Con il decreto luogotenenziale del 9 aprile 1945 n.270 Littoria cambia nome in Latina e anche volto. Secondo l’ultimo censimento eseguito del 1936, la città ha una popolazione che conta 19654 abitanti, un numero esiguo per riuscire a mantenere la nomina di capoluogo di provincia.

Il primo sindaco del dopoguerra, il repubblicano  Basso, si ritrovò con un gran numero di strutture pubbliche e soprattutto terreni dell’ONC, che nel 1936 furono assegnati per decreti a quello che allora era il comune di Littoria.Il piano regolatore è datato 1935. È il definitivo che Oriolo Frezzotti consegno all’opera, e da allora non è stato più modificato. C’era poco tempo per approvarne uno, Latina e i suoi cittadini volevano restare provincia, per quanto fondata in nome del regime fascista avevano già respinto il pesante fardello del nome Littoria, ma non rinnegavano la loro origine dal nulla, il prodigio dell’ingegneristica umana.

Cosa farne dei lotti? Come permettere a Latina di restare provincia e dare adeguate strutture?

L’idea è del sindaco Basso e della sua giunta: le strutture pubbliche costruite dall’ONC diventano le nuove sedi dell’ente locale; i lotti verranno venduti ad una lira a metro quadro, al patto che si edifichi su quel suolo entro sei mesi dalla concessione che era pressoché immediata.
La soluzione è efficace. Lungo quella che oggi è via del Lido, i terreni edificabili vengono lottizzati con un sistema ortogonale e la città si allunga verso il mare e la Pontina. Latina non gode ancora di un nuovo piano urbanistico e l’ordine dei nuovi quartieri è dovuto alla spontaneità, sia per quanto riguarda i quartieri lungo via del lido che per la zona a ridosso dei giardini pubblici, che riprendono la radialità del quadrato (già previste nel piano di Frezzotti).

Latina negli anni ’50 cresce di circa 1200 abitanti l’anno. All’attività agraria si affianca anche quella industriale e dei servizi; sul finire degli anni ’50 il Ministro delle Infrastrutture Giulio Andreotti inaugura la prima centrale termonucleare d’Italia.

Nasce la necessità di dare alloggi dignitosi alla popolazione crescente e al gran numero di lavoratori che continuava a trasferirsi a Latina. Si ha così un primo ampliamento del territorio di Latina dovuto alla 167, legge che permetteva ai Comuni di individuare aree edificabili per edilizia popolare al di fuori del piano regolatore.

La città si ingrandisce ed afferma il suo valore di provincia. Il comune di Latina incarica Luigi Piccinato di redigere un nuovo piano regolatore, che verrà approvato, adottato, ma che nella pratica incontrerà non poche difficoltà per alcuni aspetti. Il piano di Piccinato prevedeva la creazione di un nuovo centro direzionale che si doveva distribuire ad est della città, dalla Pontina sino alla base dei Monti Lepini, un asse attrezzato, intorno al quale si sarebbe distribuiti i quartieri; inoltre il piano prevedeva aree destinate alle sole ristrutturazioni; infine, il centro sarebbe stato privato della sua funzione direzionale proprio in funzione della nascita del nuovo centro.

Il nuovo centro direzionale, però, è restato sulla carta sino agli anni ’80, quando da stimolo industriale si è trasformato in luogo commerciale, spinto dalla nascita di edilizia pubblica, case private e villette. Il centro originario della citàà è rimasto tale, la sua forza di centro di fondazione è stata determinante.

È nei primi anni duemila che Latina tenta di darsi una nuova aspetto più che forma.

Il sindaco Aimone Finestra nomina assessore all’urbanistica l’architetto Italo Ranieri, il quale si avvale della collaborazione del Professore Pierluigi Cervellati di Bologna. Il tentativo dei due specialisti non è ampliare la città, ma ristrutturare il già esistente, “una rifondazione dall’interno” per usare le parole dell’architetto.

Nell’inverno del 2000-2001, il comune con le opposizioni discussero il nuovo piano regolatore proposto da Ranieri-Cervellati; il dibattito andò avanti nei mesi, fortunatamente senza superare il limite del 30 giugno, data entro la quale i comuni hanno il dovere di approvare il piano. Inutile dilungarsi sul perché il dibattito si protrasse, è una storia tipicamente italiana e per di più dei primi anni 00. Resta il fatto che le parole di Cervellati raccolte da Gianfranco Pannone nel documentario Latina/Littoria, rappresentano al meglio il tentativo fatto

“Il piano regolatore da delle regole che molto probabilmente non interessa a chi non vuole regole. Negli ultimi 30 anni, hanno di fatto massacrato un territorio. L’impianto della città di fondazione, l’impianto della grande bonifica, che è stato un modello degli anni ’30, del razionalismo mondiale è stato cancellato. Si è costruito persino nei canali di bonifica. Noi diciamo: non si costruisce più, si completa il territorio di Latina, si ridà un’immagine, una struttura ragionevole e nei prossimi dieci anni si creano impianti nuovi, si ridà economia”.

Il piano urbanistico verrà approvato, ma subirà una sorte infelice. Per un vizio di forma il TAR lo respinse. L’amministrazione Finestra terminò il suo mandato e il neo sindaco eletto non volle impugnare il ricorso.

Tutt’oggi Latina non ha un piano urbanistico.