Storia

Berlino 1936, proteste e boicottaggi ma l’Olimpiade deve farsi

Dopo le Leggi di Norimberga si iniziò a parlare di Nazi-Olympic. Il Partito Nazionalsocialista organizza tutto a puntino, ma gli Stati Uniti rovinano la festa perfetta

Il video di Stripped dei Rammstein è accompagnato dalle immagini di Olympia di Leni Riefenstahl

[Fuori le mura, 26 marzo 2012]

I giochi olimpici giungono finalmente a Berlino. È il 4 luglio 1912 e il CIO assegna la VI edizione dei Giochi alla capitale tedesca, dopo una prima candidatura nel 1909 respinta a causa di inadeguatezza economica. Purtroppo, la fiaccola olimpica non giungerà mai all’accensione del braciere. Sarà lo stesso de Coubertin, arruolato al fronte, ad inviare nel marzo del 1916 una lettera a Victor von Podbielski, Presidente del Comitato Organizzatore, in cui dichiarava l’annullamento dei giochi a causa della guerra.

Terminato il conflitto, la Germania è costretta a pagare un oneroso risarcimento alle Nazioni vincitrici. Dopo una breve ripresa economica, dovuta ad un asse commerciale tedesco-russo e al piano statunitense Dowes, la grande crisi del 1929 piega nuovamente lo stato tedesco. La produzione industriale cala del 50% e la disoccupazione si allarga a circa sei milioni di lavoratori.

Il 14 aprile 1931, a Barcellona, sono solo 20 i membri presenti dei 67 nel CIO e la sessione è ridotta a soli 2 giorni. La votazione non ha luogo e viene posticipata in seguito alla decisione di votare per lettera. Le città contendenti rimaste sono Berlino e Barcellona. Nella sede di Losanna, il 13 maggio 1931, è letto l’esito della votazione. A Berlino vanno 43 voti, 16 a Barcellona, 8 gli astenuti. Sebbene non ci fossero le condizioni economiche ideali per tenere le olimpiadi a Berlino, il Comitato ha preferito la Germania alla Spagna, la quale agli inizi degli anni ‘30 navigava in una situazione ben peggiore.

Il comitato tedesco, presieduto da Theodor Lewald, dopo aver insistito dal 1928 per ottenere la nomina a Paese ospitante, si riunisce per la prima volta il 24 gennaio 1933. Una settimana dopo, Adolf Hilter è chiamato a presiedere il governo. I continui riferimenti ai fatti della storia sono inevitabili. Berlino 1936 è stata la prima Olimpiade che vive a pieno la convergenza politica-sport. Nel marzo dello stesso anno, Lewald viene ricevuto da Hitler per illustragli i Giochi. Inizialmente il Fuhrer non è intenzionato a dare particolare importanza all’evento. Sarà infatti il suo fido braccio destro, il Ministro del Reich per l’istruzione e la propaganda, Joseph Goebbels, a comprendere a pieno la rilevanza sociale e internazionale delle Olimpiadi.

Goebbels e il suo fine intuito avevano ragione. Ma la comunità internazionale osservava attentamente l’agire del Partito Nazionalsocialista, che aveva avuto già modo di farsi conoscere in occasione delle olimpiadi di Los Angeles, quando sulle pagine del loro giornale ufficiale titolavano “Un infame festival dominato dagli ebrei”. Un anno dopo quelle Olimpiadi, non a torto, il mondo iniziò a parlare di Nazi-Olympics. Le associazioni sportive insorsero. L’AAU (American Athletic Union) promuove una risoluzione che inviti atleti e allenatori a boicottare le olimpiadi nel caso si presentassero palesi forme di discriminazione. Un anno dopo la Germania annuncia che 21 atleti ebrei sono stati selezionati per i giochi (ne gareggeranno, però, solo due).

Le proteste non accennano a placarsi. Manifestazioni ludiche alternative vennero organizzate in diversi continenti. Nel 1935 si tennero il World Labor Athletic Carnival, a New York, e le Maccabiadi a Tel Aviv. Nella primavera dell’anno seguente, invece, le associazioni sportive socialiste spagnole organizzarono l’Olimpiade Popolare a Barcellona: si iscrissero 23 Paesi per un totale di 4000 atleti; il giorno dell’inaugurazione, il 19 luglio, ci furono oltre 20000 persone. I giochi non vedranno la seconda giornata, a causa dell’insurrezione franchista. La scelta di Berlino diede in parte ragione al CIO che non poteva permettersi un ulteriore annullamento.

Proteste e boicottaggi non furono sufficienti a far sospendere i giochi. Il 1° agosto 1936, Fritz Schilgen, ultimo tedoforo, da vita al braciere. Ha inizio l’XI edizione dei Giochi Olimpici. I Paesi partecipanti sono 49 per un totale di 3834 atleti (3506 uomini, 328 donne).

È stato tutto organizzato alla perfezione. Hitler avrebbe salutato personalmente tutti gli atleti a podio (iniziativa annullata dal secondo giorno). Per dare la dovuta importanza storica, Carl Diem, il regista tecnico dei giochi, ha introdotto la tradizione della torcia, che partita da Olimpia ha attraversato sette nazioni, percorrendo 3000 km. I giochi furono anche i primi ad essere stati trasmessi in televisione. In tutta Berlino erano dislocate 25 sale che proiettavano ininterrottamente le gare. Alla regista Leni Riefenstahl fu affidato il compito di riprendere i giochi e montare un documentario.

Quella che nelle intenzioni di Hitler e Goebbels dovevano essere le Olimpiadi del nuovo corso e della razza ariana, vengono rovinate già il primo giorno. I fantasmi che si aggirano tra le piste di atletica sono statunitensi, alcuni neri, e si rifiutano di rivolgersi al Fuhrer con il saluto “Sieg Heil!”.

Al primo giorno si tiene il salto in alto. Successo degli Stati Uniti che si aggiudicano oro, bronzo e argento. Nei primi due posti, due atleti neri, rispettivamente Cornelius Johnson (record olimpico 2.03) e Dave Albritton. Al momento delle congratulazioni personali, il Fuhrer improvvisa una “urgente chiamata di Stato” che non gli permette di salutare gli atleti. In serata verrà chiamato dal presidente del CIO de Baillet-Latour che lo inviterà a prendere una decisione: o salutare tutti i vincitori o soprassedere con i saluti. La scelta ricadrà sulla seconda opzione, Hitler aveva forse intuito che “l’inconveniente” di stringere la mano ad atleti neri sarebbe potuto ripetersi.

Helen Stephens e Jesse Howens

Non avrebbe neanche dovuto attendere molto, tra l’altro. Il giorno seguente, il recordman Jesse Owens conquista il primo dei suoi quattro ori, precedendo, nei 100m, il connazionale Ralph Metcalfe, già due volte argento a Los Angeles. La favola Owens si ripete sui 200m dove piazza il record mondiale di 20.7. Altro primato, questa volta olimpico, nel salto in lungo con 8.06. Al secondo posto, il tedesco Luz Long che secondo le cronache dell’epoca destò l’irritazione di Hitler perché durante tutta la giornata chiacchierava e scambiava consigli proprio con lo stesso Owens. Il quarto oro arriva in squadra nella staffetta 4×100, sostituendo in extremis con Metcalfe i compagni Glickan e Stoller. Anche qui record mondiale, anticipando la selezione italiana.

Per l’Italia è uno dei 9 argenti conquistati a Berlino. La rappresentativa italiana si presenta con 182 atleti, di cui 13 donne. Una di queste è Trebisonda “Ondina” Valla, record olimpico negli 800 ostacoli con 11.748. Altro primato conquistato a Berlino è di Edoardo Mangiarotti, diciassettenne componente della squadra di scherma, essendo il più giovane atleta medagliato con l’oro. Non riesce a bissare l’impresa sui 1500m di Los Angeles Luigi Beccali, che questa volta guadagna il bronzo alle spalle del neozelandese John Lovelock e dello stesso Glenn Cunningham incontrato 4 anni prima.

La vittoria più significativa arrivò dalla nazionale di calcio guidata dal commissario unico, Vittorio Pozzo. Negli anni ’30 il calcio insieme al ciclismo divenne lo sport più seguito e la nazionale di calcio, inconsapevolmente si ritrovò a rappresentare all’estero quei caratteri di forza, vigorosità e patriottismo che il fascismo predicava. Il nuovo regolamento imponeva di non poter schierare giocatori professionisti, ma solo dilettanti o calciatori-studenti. Privata dell’ormai affermato Meazza, Combi, Ferraris IV e Monti, Pozzo seppe trovare degni sostituti in Frossi (capocannoniere con 7 reti), Venturini, Biagi e Rava.

La nazionale di calcio olimpica italiana. Al centro, l’occhialuto Annibale Frossi, capocannoniere della competizione

Da segnalare il predominio scandinavo nei 10000m con il terzetto finlandese: Ilmari Salaminen, Arvo Askola, Volmari Iso-Hollo. Nei 5000m solo il bronzo è lasciato alla Svezia rappresentata da Henry Jonsonn, l’argento se l’aggiudica il finnico Lauri Lehtinen e l’oro il connazionale Gunnar Hockert, che segnerà il suo personale record e primato olimpico con 14’22”2.

Nella maratona di Berlino si classificheranno primo e terzo due giapponesi: Kitei Sun e Shoryu Nan. Molto dopo si saprà essere due coreani, di nome Sohn Kee Chung e Nam Sung-Yong. Inseriti nella selezione nipponica, furono scoperti in un paesino della Corea, allora colonia dal 1910 del Giappone. Sul podio entrambi abbasseranno la testa all’inno giapponese. Durante la cerimonia d’apertura delle olimpiadi di Corea il 73enne Sohn entrerà nello stadio con la fiamma olimpica e la maglia della Corea.

Tra le donne spicca la diciottenne Helen Stephens, vincitrice dell’oro nella staffetta 4×100 e nei 100m piani, che con i suoi 11.5 batte la polacca Stanislawa Walasiewicz. Il suo successo è corredato da un aneddoto che riguarda il Fuhrer: nel complimentarsi con lei, Hitler la invita per un weekend nel suo nido delle aquile a Berchtesgaden, tradizionale regno di Eva Braun, ma la Stephens cortesemente rifiuta. Donna caparbia e amante dello sport, umile contadina del Missouri, passa professionista solo dopo Berlino, impegnandosi in sfide contro Owens, e giocando a Basket: crea la prima squadra USA pro di pallacanestro femminile nel 1938, le All-American Redheads.

Si ripresenta un caso polemico riguardo l’autentica femminilità di un atleta. Questa volta tocca a Dora Ratjen, quarto posto nel salto in alto, denunciata dalle compagne che la chiamano “Karl in gonnella”, verrà dichiarata ermafrodita ed esclusa dalle gare femminili del 1938, appena dopo aver conquistato record del mondo e titolo europeo. In seguito dirà di essere stata costretta dai nazisti a vestire abiti femminili. Dopo un intervento chirurgico, diventerà Hermann Ratjen e farà il barista a Brema.

Infine l’atleta che fino ad oggi è rimasta la più giovane medagliata con l’oro, la statunitense Marjorie Gestring.

Ktei Sun e Shoryu Nan sul podio a testa bassa

Le olimpiadi di Berlino si svolsero con ordinaria regolarità, prive di contestazioni o brogli sportivi e più di quattro milioni di biglietti venduti. Ovviamente, grava il peso della situazione politica interna della Germania, e secondo alcuni osservatori dell’epoca, lo sfilare sotto la svastica tedesca sarebbe stata una forma di legittimazione del potere nazista. Allora, però, neanche gli addetti alla politica si accorsero del pericolo del Partito Nazista, come avrebbero potuto atleti ed allenatori interessati solo alla competizione agonistica.

Furono anche le ultime olimpiadi prima del secondo conflitto mondiale. E a causa della guerra e dello sterminio nazista, si registrano ben altri score. Secondo il dossier Cronik curato da Volker Klauge morirono 263 atleti partecipanti alle olimpiadi.

Alcuni di essi furono anche medagliati. Come il luogotenente Heinz Brandt, oro nell’equitazione a squadre, rimasto gravemente ferito durante l’Operazione Valchiria, l’attentato fallito nei confronti di Hitler il 20 luglio 1944. Brandt muore due giorni dopo per le ferite riportate a Rastenburg. Sul letto di morte riceve la visita di Hitler, che ignaro lo promuove Generale Maggiore.

Così come, i già citati, Luz Long e Gunnar Hockert, o Hans Wollke, oro e record olimpico nel lancio del peso.